Con la Cina che sta uscendo da una pluriennale ristrutturazione post-bolla, l’India appare come un’alternativa interessante per gli investitori che cercano un’esposizione alla crescita dei mercati emergenti.
A partire dai primi anni 2000, l’India ha registrato un tasso di crescita annuale del Pil superiore al 9%, ma inferiore rispetto a quello della Cina, pari al 12% annuo, che aveva visto un’accelerazione grazie all’adesione del Paese all'Organizzazione mondiale del commercio (World Trade Organisation, WTO) nel 2001. Tuttavia, i vantaggi che la Cina aveva ottenuto con l’adesione al WTO stanno ora iniziando a venire meno.
Inoltre, dopo la crisi finanziaria globale del 2008-2009, i cambiamenti nella leadership di ciascun Paese hanno guidato le due economie in direzioni opposte.
In Cina, con l’elezione di Xi Jinping nel 2012 e dopo la sua ormai famosa frase “le case sono costruite per essere abitate, non per la speculazione” pronunciata nel dicembre 2016, è stato abbandonato il modello di crescita incentrato fortemente sul settore immobiliare. Questo ha dato ufficialmente il via alla ristrutturazione e alla riforma di un settore che all'epoca rappresentava addirittura il 20-25% del Pil.
In India, invece, il Primo Ministro Narendra Modi, eletto nel 2014, ha lanciato un'agenda economica dedicata ad aumentare la produttività investendo nelle infrastrutture del Paese.
Questo programma riguarda non solo infrastrutture fisiche e digitali, analogamente all'approccio adottato dalla Cina a partire dagli anni '90, ma anche infrastrutture finanziarie volte a rafforzare e ampliare il mercato dei capitali nazionale.
Gli sforzi per rilanciare l'economia interna indiana attraverso gli investimenti hanno portato a un notevole aumento degli investimenti fissi, che sono passati da circa il 30% del Pil all'inizio del suo mandato al 35% di fine 2023.
Di pari importanza è il fatto che questi investimenti hanno coinciso con un aumento della quota di investimenti diretti esteri (IDE) globali, che sono passati dall'1-2% prima dell'insediamento di Modi, a una media del 3% tra il 2016 e il 2022. Ciò equivale a 15 miliardi di dollari di IDE in più all'anno sotto il suo governo.
Questa crescita è simile all'aumento degli afflussi di investimenti diretti esteri in Cina a partire dagli anni Novanta. In Cina, questo aumento a una quota di circa il 2% degli IDE globali, ha avuto inizio negli anni Ottanta quando l’industria leggera globale si è spostata dall’Occidente, mentre per l’India tutto è iniziato nei primi anni Duemila con la migrazione dei servizi – attraverso l'outsourcing dei processi aziendali.
Successivamente, la Cina è cresciuta ulteriormente grazie alla combinazione di investimenti in industrie medie e pesanti da parte di imprese globali e locali alla fine degli anni '90, spinti anche dall’adesione della Cina all’Organizzazione mondiale del commercio nel 2001. A questo, si è aggiunto un ampliamento degli investimenti in infrastrutture nazionali, che ha portato a un aumento della quota di IDE al 6-10% negli anni 2000.
In futuro, l’India potrebbe beneficiare in modo simile di riforme interne per attrarre maggiori investimenti nazionali ed esteri. Come la Cina dopo il 2001, anche l’India beneficerà dei cambiamenti nelle catene di fornitura globali. Infatti, stiamo assistendo alla diversificazione e al parziale reshoring delle catene di fornitura che da inizio secolo sono concentrate in Cina, e che ora vengono spostate in India per sfruttare il vasto mercato interno e la fiorente classe media del Paese, in modo simile a quanto avvenuto in passato in Cina.
Anche se è improbabile che l'India arrivi al livello di IDE globali raggiunto dalla Cina quando la globalizzazione era al suo apice, prevediamo che il reshoring sarà comunque un motore altrettanto forte per il prossimo ciclo di investimenti nella crescita economica indiana.