26/07/2024

GAM, small e mid cap europee: sono insolitamente convenienti rispetto al resto del mercato?

Una domanda ricorrente che mi hanno fatto i clienti recentemente è se le società europee a bassa e media capitalizzazione offrano veramente un valore eccezionale nell’ambito del mercato europeo in generale. Forse ciò dipende dal fatto che i fondi europei costituiti dalle small e mid cap europee vengono offerti a valutazioni apparentemente “molto convenienti”, e sembra sia un ottimo momento per investire in questo mercato. 

Noi di GAM siamo scettici in merito all’effettiva dislocazione a livello della capitalizzazione di mercato in Europa. Tale convinzione si riflette nelle nostre posizioni. Se credessimo che le azioni europee delle small e mid cap fossero particolarmente interessanti o presentassero valutazioni eccezionalmente convenienti, avremmo una posizione sovrappesata nel 4° e 5° quartile della capitalizzazione di mercato rispetto all’indice MSCI Europe, ma non è così. Dunque, la risposta breve è no, non crediamo che le small e mid cap europee siano particolarmente convenienti o interessanti rispetto al resto del mercato. 

Considerando un periodo molto lungo, dal 1990, le small e mid cap europee non sembrano convenienti rispetto alle azioni delle large cap europee relativamente al rapporto tra prezzo e utili e i dividendi, anzi sembrano in linea con i valori medi a lungo termine. In effetti, i titoli delle società a elevata capitalizzazione appaiono convenienti rispetto alle small e mid cap europee fino al 2022 circa, quando le valutazioni delle large cap hanno raggiunto le valutazioni normali/medie delle small e mid cap. Storicamente, le società a elevata capitalizzazione scambiavano a valutazioni inferiori alle SMID europee, oggi scambiano leggermente al di sopra. Tuttavia, se consideriamo le medie a lungo termine, la differenza è minima e certamente ben lontano dai valori della fine degli anni ‘90 quando le large cap scambiavano a valori più alti rispetto alle small e mid cap europee. 

Vi sono diverse ragioni strutturali per cui riteniamo che le small e mid cap europee abbiano iniziato a sottoperformare negli ultimi anni e per cui questo fenomeno potrebbe continuare:

 

  1. Negli ultimi vent’anni - ma con un'accelerazione nell'ultimo decennio - l'Europa (compreso il Regno Unito) ha assistito a una significativa uscita dalle azioni da parte degli istituti che si occupano di asset allocation, come i fondi pensione e le compagnie di assicurazione, in aggregato, riallocando un'ampia porzione dei propri asset dalle azioni alle obbligazioni. 

 

Ciò è avvenuto in tutti i settori assicurativi e pensionistici, ma è stato più evidente nel Regno Unito, dove il gigantesco settore privato dei fondi a prestazione definita (Defined Benefit, DB), con circa 1.800 miliardi di dollari in AUM, è stato (quasi) completamente chiuso a nuovi membri, a causa di una combinazione di politiche governative sbagliate e standard contabili inadeguati, il cui risultato è stato quello di costringere a un allontanamento su larga scala dalle azioni verso i titoli a reddito fisso. 

In termini numerici, negli ultimi 25 anni la quota di AUM investita in azioni dei fondi pensione privati a prestazione definita britannici è scesa da circa il 75% al 15%: un'oscillazione del 60% degli asset che rappresenta oltre 1.000 miliardi di dollari in valuta attuale, pari a circa un terzo dell'attuale PIL britannico.  La maggior parte di questo spostamento del 60% dalle azioni alle obbligazioni proviene dalle azioni del Regno Unito - e questo ha ricevuto molta attenzione politica e mediatica di recente nel Regno Unito - ma va notato che i regimi pensionistici a prestazione definita del settore privato del Regno Unito sono stati storicamente anche grandi investitori nei mercati azionari europei (escluso il Regno Unito), con un'allocazione di circa il 10-15% degli AUM in questa asset class; c'è stato quindi anche un "drenaggio" di liquidità da altri mercati europei causato da questa uscita dall’azionario dei regimi pensionistici a prestazione definita del settore privato del Regno Unito. 

 

Inoltre, il settore assicurativo - in gran parte d'Europa – ha diminuito in misura significativa le posizioni azionarie in risposta all'evoluzione di normative come Solvency II e altre, e la centralità di grandi compagnie assicurative europee come Allianz e Generali nei mercati azionari nazionali è venuta meno.  L'effetto netto di questa uscita dall’azionario su larga scala da parte dei grandi istituti, unito alla scarsa propensione delle famiglie a possedere azioni o a investire in fondi azionari, è stato quello di ridurre significativamente la domanda di azioni europee.  

 

  1. Negli ultimi 17 anni, a partire dalla crisi finanziaria globale, si è assistito a uno spostamento molto pronunciato dall’esposizione azionaria attiva a quella passiva in Europa, con una crescita della quota passiva dal 15% circa al momento della crisi finanziaria a oltre il 40% attuale.  Il passaggio dall’esposizione azionaria attiva a quella passiva nel contesto di benchmark ponderati per la capitalizzazione di mercato concentra l’esposizione nella parte più ampia del mercato azionario e sottrae liquidità alle small e mid cap europee.

 

  1. Negli ultimi anni si è assistito a uno spostamento delle allocazioni dei fondi azionari regionali da parte degli asset allocator verso i fondi azionari globali; anche questa azione concentra il capitale nelle società più grandi, in questo caso le aziende tecnologiche quotate negli Stati Uniti, e drena liquidità dalle small e mid cap.

 

L'effetto netto di questi fenomeni è stato quello di estrarre una grande quantità di domanda naturale dalle azioni europee (incluso il Regno Unito) e di concentrare il capitale azionario rimanente nelle maggiori società europee e globali.  Titoli come ASML, Novo Nordisk, LVMH, L'Oréal ecc. continuano ad attrarre la domanda di acquirenti da una combinazione di fondi azionari globali (passivi e attivi) e fondi azionari europei (passivi e attivi), ma le small e mid cap europee hanno una domanda naturale di acquirenti molto più bassa.

 

Naturalmente si tratta di un'ampia generalizzazione su tutto il continente europeo, e alcuni Paesi - i Nordici e la Svizzera - hanno una cultura d'investimento locale più dinamica nei rispettivi mercati azionari nazionali, ma la bassa allocazione azionaria in molti grandi Paesi (Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Spagna), combinata con la grande uscita degli istituzionali dalle azioni da parte degli enormi schemi pensionistici privati del Regno Unito e delle compagnie assicurative europee, ha ridotto fortemente la domanda di mid e small cap europee da parte degli acquirenti.

 

In conclusione, per noi è difficile concordare con chi sostiene che le azioni SMID europee scambiano a valutazioni fortemente scontate rispetto alle large cap europee, semplicemente perché i dati non corroborano tale affermazione. Secondo noi, le società europee a bassa e media capitalizzazione presentano effettivamente valutazioni interessanti, ma non più delle azioni europee in generale, e ci sono ragioni strutturali che ci spingono a procedere con cautela sul fronte delle SMID europee per via della composizione del risparmio in Europa e su scala globale.

 

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