A Washington la tempesta che ha fatto volare gli stracci ha preso le forme della legge di spesa approvata dalla Camera dei Rappresentanti il 22 maggio che, tra tagli fiscali e tagli selettivi alla spesa pubblica, vale qualcosa come tremila miliardi di dollari. Il provvedimento che il presidente Trump ha definito “grande e bello”, agli occhi dell’ex sodale Musk è un “disgustoso abominio”.
La controversa legge di spesa aumenterà il deficit di trilioni di dollari nei prossimi anni e, nell’immediato, ha portato allo scoperto il dissapore tra l’uomo più potente del mondo e l’uomo più ricco del mondo; un litigio che ha sorpreso gli osservatori più attenti solo per i modi e il linguaggio. Né si possono escludere prossime riconciliazioni, i due hanno abituato alla mutevolezza dei loro giudizi, diciamo così.
Per la prima volta nella storia recente si mette in discussione la sostenibilità delle finanze federali, il debito pubblico degli Stati Uniti è il più grande del mondo in termini assoluti, le sue dinamiche sono cruciali per i destini del sistema finanziario globale.
Storicamente, gli Stati Uniti hanno potuto aumentare il loro debito senza dover pagare il dazio di rendimenti più elevati grazie al ruolo centrale del dollaro nel sistema monetario globale, il Treasury è l’indiscusso asset di riserva in tutto il mondo. Eppure, nel nuovo scenario isolazionistico americano, un’accelerazione delle vendite delle scadenze più lunghe e la riallocazione degli investitori fuori dagli Stati Uniti potrebbero costituire motivo di serio nervosismo. Per aggiungere la beffa al danno, la legge “grande e bella” contiene misure fiscali a carico dei detentori esteri di asset americani che rischiano di trasformare la guerra commerciale in guerra finanziaria.
Le preoccupazioni sul debito sono alimentate anche dalle condizioni dei tassi. I dati sull’occupazione sono stati superiori alle attese: in maggio sono stati creati 139.000 nuovi posti di lavoro contro i 120.000 attesi e anche la crescita salariale (+0,4% mensile, +3,9% annuale) ha superato le previsioni (+0,3% e +3,7% rispettivamente).
I dati sul lavoro incideranno sulle aspettative sui tagli della Federal Reserve che saranno verosimilmente più contenuti e più lenti. In ogni caso, l’incertezza impedisce le pianificazioni delle aziende, frena i piani di investimento, raffredda le assunzioni. La banca centrale non ha fretta a rendere più economico il costo del denaro e il consumatore americano resta pressoché l’unico agente a sostenere la crescita del paese. I tassi di interesse a breve termine sono sotto il controllo delle banche centrali, ma le scadenze più lunghe sono condizionate dalle aspettative sull’inflazione e dalle dinamiche dell’offerta. Le aspettative del mercato puntano sull’aumento dei tassi di interesse a lungo termine.
Un altro rischio di cui tenere conto deriva dall'”effetto ricchezza”, teoria economica comportamentale secondo cui i consumatori tendono a spendere di più quando il valore dei loro patrimoni aumenta. Oggi la percentuale di azioni nei risparmi finanziari delle famiglie americane è ai livelli più alti degli ultimi decenni, ciò significa che le correzioni del mercato azionario incidono sui consumi in modo ancor più diretto. Un forte “sell-off” azionario incrinerebbe la fiducia dei consumatori e potrebbe dare origine a una pericolosa spirale al ribasso che dai mercati arriverebbe all’economia reale.
Da inizio anno, l’indice del dollaro rispetto al paniere delle sei maggiori valute mondiali è in calo di circa l’8,5%, le ragioni le abbiamo ricordate sopra: l’incertezza sulle politiche commerciali e “geoeconomiche” dell’amministrazione americana, l’aumento del deficit federale, la riallocazione di asset al di fuori degli Stati Uniti.
La gran parte degli operatori di mercato si aspetta un ulteriore indebolimento del dollaro nei prossimi mesi ma, se i dati dell’economia americana dovessero sorprendere, il dollaro potrebbe invertire bruscamente la rotta. Ne abbiamo avuto un esempio la settimana scorsa, il biglietto verde si è rafforzato sul dato del mercato del lavoro superiore alle aspettative.
È invece prematuro, a nostro giudizio, parlare di una fine dello status globale del biglietto verde che rappresenta ancora circa il 58 % delle riserve ufficiali nel mondo. Ha ragione Klaas Knot, il governatore della Banca d’Olanda, quando dice che il dollaro “non ha ancora concorrenti validi”.
Per il momento, il vero beneficiario della “de-dollarizzazione” è l’oro. Andremo verso un sistema monetario più multipolare, ma sarà un processo lento che richiederà tempo e coesione globale.