L’economia cinese ha trainato le esportazioni di materie prime alla base di molti mercati emergenti. Evidentemente lo stallo del 2024 non è bastato a stimolare una reazione politica aggressiva che, in passato, era riuscita a sostenere l’economia. L’amministrazione Trump negli Stati Uniti farà deragliare la spinta alla globalizzazione che è durata decenni e che era alla base dei progressi fatti dai mercati emergenti. È chiaro che Trump si sente autorizzato a esplorare politiche non ortodosse che le grandi economie hanno in genere evitato dopo la Seconda guerra mondiale. L’economia europea è moribonda, e l’Europa è l’unico motore credibile di crescita globale che non fa rafforzare il dollaro, un contesto in cui le valute dei mercati emergenti fanno sempre fatica. L’elezione di Trump, in particolare, ha reso gli investitori prudenti nei confronti dei mercati emergenti, e i flussi di capitale diretti verso quest’asset class hanno rallentato nel 4° trimestre del 2024.
I fattori ciclici non sono positivi ma neppure del tutto negativi. La crescita negli Stati Uniti resta robusta e abbastanza bilanciata, anche se è collegata alla politica fiscale accomodante senza precedenti nel recente passato. L’impennata inflazionistica post-Covid sembra ora transitoria. I mercati obbligazionari scontano tagli ai tassi assai consistenti, superiori a quelli previsti all’inizio dei cicli di tagli precedenti, ma senza sembrare assurdi.
La principale opportunità d’investimento riguarda il debito dei mercati emergenti in valuta locale, infatti le valutazioni sono estremamente interessanti. Le valute sono convenienti in base ai dati storici o in relazione alla bilancia dei pagamenti in quasi tutti i Paesi. Inoltre, l’inflazione è scesa più rapidamente nei mercati emergenti rispetto a quelli sviluppati e, grazie agli interventi aggressivi delle banche centrali di questi Paesi, i rendimenti sono alti, in termini sia nominali che reali.
Il rischio principale riguarda l’approccio più aggressivo della nuova amministrazione Trump. Nonostante riteniamo che le misure protezionistiche e antiglobalizzazione siano già scontate nei mercati finanziari emergenti, ciò non vale per i fattori macroeconomici. Il tentativo di togliere indipendenza alla Federal Reserve o l’adozione di una politica fiscale ancora più accomodante in particolare sono un grave rischio per il mercato obbligazionario statunitense e per il premio a termine globale. Un tentativo mal gestito potrebbe ostacolare gli interventi della Fed sui tassi, con rendimenti al rialzo in un’economia globale già fortemente indebitata. Pertanto, privilegiamo un approccio d’investimento prudente e ci riserviamo di intervenire qualora le valutazioni si facessero più interessanti.