Fondo: Arca Bond Paesi Emergenti Valuta Locale
ISIN: IT0004687148
Categoria CFS Rating: Obb. Emergenti
Società: ARCA Fondi SGR S.p.A.
Sito: www.arcaonline.it
Performance mensile: +5,13%
Nella foto: Francesco Merli - Fixed Income Portfolio Manager
1. Il Fondo investe principalmente in strumenti obbligazionari e monetari di emittenti sovranazionali e Sovrani di Paesi Emergenti, denominati nelle valute locali. Come avviene l’allocazione geografica, che mostra significativi scostamenti dal benchmark scelto dal gestore?
La peculiarità del fondo è quella che oltre l’80% del rischio complessivo deriva dall’andamento delle valute dei paesi emergenti; il “rischio tasso” è in qualche modo residuale.
La scelta gestionale più importante riguarda quanta esposizione il portafoglio deve avere alle valute emergenti. Questo tipo di scelta è fatta sulla base di valutazioni fondamentali sulle economie dei paesi emergenti, ma anche in funzione del quadro macro globale e delle condizione finanziarie determinate dalle politiche monetarie dei paesi sviluppati, in particolare dalla FED.
La seconda scelta gestionale riguarda come allocare il rischio valutario tra i paesi emergenti: utilizziamo un modello quantitativo per filtrare le informazione e individuare quelle valute con più alte possibilità di apprezzamento e quello con maggiore rischio di svalutazione; le indicazioni del modello sono però filtrate sulla base dell’analisi qualitativa condotta dal team di gestione. Infine l’allocazione valutaria viene valutata sulla base dell’esposizione complessiva del portafoglio a fattori macro globali come l’andamento delle commodity o dei tassi di interesse americani.
2. Nel mese di giugno Arca Bond Paesi Emergenti Valuta Locale di rivela il fondo di diritto italiano più performante del mese. A cosa è dovuto questo risultato, ai movimenti valutari o dei corsi obbligazionari?
In giugno la performance del fondo è derivata principalmente dall’apprezzamento delle valute emergenti rispetto all’Euro mentre la restante parte della performace deriva dalla componente bond che ha beneficato della generalizzata discesa dei rendimenti dei titoli governativi dei paesi sviluppati; il portafoglio titoli del fondo si è apprezzato del 2%, con una riduzione del rendimento a scadenza di circa 20bp.
3. Da inizio anno il fondo guadagna oltre 9 punti percentuali riuscendo a battere la media di categoria. Tuttavia, rispetto al relativo benchmark, l’indice Barclays Capital Emerging Markets Local Currency Gov 10% Country Capped TR UNHDG, il fondo accusa costantemente un ritardo su diverse scadenze. Quali sono le scelte che si sono rivelate premianti e quali invece non hanno portato ai risultati sperati?
Il nostro benchmark si discosta da quello tipicamente adottato dalla concorrenza per la più elevata diversificazione: più paesi (Korea, Isreael e Rep.Ceca) e nessuna valuta con un peso superiore al 10%. Questo significa avere nel lungo periodo migliori rendimenti aggiustati per il rischio ma essendo meno esposti ad alcune valuta a più alto “beta” si deve accettare di sottoperformare la concorrenza in fase di mercato molto positive proprio come avvenuto quest’anno. E’ una scelta di cui non ci pentiamo, perché è nella nostra filosofia offrire un prodotto all’investitore retail con caratteristiche premianti nel lungo periodo, che possano garantire più protezione nelle fasi negative e che possano ridurre la tentazione di vendere ai minimi.
L’extra performance del fondo rispetto al benchmark non è stata brillante da inizio anno in quanto le scelte di “relative value” tra valute hanno aggiunto poco per la relativa scarsa volatilità. In realtà l’andamento molto positivo della prima parte dell’anno del comparto è stato determinato in gran parte dal forte apprezzamento di due valute che hanno sovraperformato le altre valute emergenti: il real brasiliano (oltre il +25%) che ha beneficiato della caduta del presidente Dilma Rousseff e il rublo (quasi il 20%) che è stato supportato dalla ripresa del prezzo del petrolio. Il non avere colto queste due opportunità ha pesato sulla extra performance contro benchmark. Si è mantenuto un sovrappeso sulla rupia indiana (posizione fuori benchmark) che ha contribuito positivamente solo in termini di carry.
4. Cosa dobbiamo aspettarci dai mercati obbligazionari dei Paesi emergenti nei prossimi mesi? Ritenete siano da preferire le emissioni in dollari o in valute locali?
In questo momento non abbiamo una preferenza forte per nessuno delle due tipologie di emissioni ma un bias positivo per i mercati emergenti in generale. Lo spread offerto dai titoli di debito esterno rispetto ai governativi sviluppati è appetibile e la caccia a rendimenti positivi rimarrà a lungo ancora aperta, come testimoniano i continui flussi soprattutto da parte di investitori istituzionali in ritirata dai bond a rendimenti negativi.
I bond in valuta offrono un ulteriore extra rendimento e solo dopo la Brexit gli investitori hanno ricominciato ad avvicinarsi all’asset class: molte valute emergenti sono ancora sottovalutate ma limitate nella loro performance dal timore dell’apprezzamento del dollaro.
La nostra idea è che i fondamentali dei paesi emergenti sono in miglioramento, il livello di indebitamento è più basso rispetto a quello dei paesi sviluppati, gli spazi di manovra fiscale e di politica monetaria sono più ampi. Negli ultimi tre anni le economie emergenti hanno subito una deterioramento di natura ciclica: il boom dei prezzi delle commodity era stato innescato dalla forte crescita in Cina degli anni 2000; ora la Cina cresce di meno ma non ha smesso di crescere, i prezzi delle materie si sono stabilizzati, alcuni paesi che avevano beneficiato ampiamente del boom sono stati costretti ad affrontare riforme rinviate da tempo, alcune economie in recessione come il Brasile e la Russia si stanno riprendendo, altre come l’India si affacciano come nuovi leader della crescita globale.
I maggiori rischi derivano dai fattori esterni: in particolare errori di comunicazione da parte della Fed, elezioni USA, scelte azzardate di politica fiscale o monetaria in Giappone, i cronici problemi dell’Europa che, qualora causassero un forte apprezzamento del dollaro, potrebbero costringere la Cina a svalutare il proprio tasso di cambio innescando la paura della recessione globale come avvenuto nell’agosto 2015 e nella prima settimana del 2016. In prospettiva questi rischi non appaiono sistemici per i paesi emergenti e se si manifestassero, offrirebbero opportunità di entrare sul mercato a prezzi migliori.