A cura di Amar Reganti, Fixed Income Strategist di Wellington Management
Quando l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha declassato gli Stati Uniti dal rating più elevato, durante lo stallo sul tetto del debito nell’estate del 2011, lavoravo come funzionario del Tesoro presso l’Ufficio di Gestione del Debito. Speravo si trattasse di un errore e che gli Stati Uniti mantenessero gli altri rating eccellenti, che sapevo essere emblematici dell’economia più ricca e dinamica al mondo. Tuttavia, da allora, altre agenzie di rating hanno seguito l’esempio: Fitch ha declassato gli Stati Uniti nel 2023 e Moody’s, l’ultimo baluardo, più recentemente, nel maggio di quest’anno. Perché gli investitori dovrebbero preoccuparsi di questo terzo e ultimo declassamento? A cos’altro rimanda questo segnale? In questo articolo spieghiamo cosa significhi, per gli investitori, questo deterioramento della solidità creditizia degli Stati Uniti.
DECIFRARE IL DECLASSAMENTO DI MOODY'S
Il declassamento di Moody’s è legato a diversi aspetti complessi, tra cui: lo status della valuta di riserva, la sostenibilità del debito, la politica interna e l’esistenza o meno di alternative estere al dollaro statunitense. Sebbene Moody’s abbia motivato la sua decisione con l’elevato livello del debito pubblico e l’aumento dei costi per interessi, il declassamento riflette anche un’erosione più ampia dei meccanismi di elaborazione delle politiche negli Stati Uniti e del loro prestigio sul mercato globale. Già prima dell’insediamento dell’attuale amministrazione, il processo decisionale interno risultava disfunzionale, con numerosi stalli sul tetto del debito e occasionali chiusure del governo. Le recenti politiche potrebbero aver spinto queste dinamiche oltre il limite.
Gli investitori dovrebbero temere ulteriori abbassamenti di rating? Sebbene Moody’s abbia dichiarato di prevedere il mantenimento del livello di rating rivisto, l’agenzia ha precisato che la rottura di relazioni istituzionali, eventualità che potrebbe concretizzarsi in risposta a politiche più non convenzionali, potrebbe costituire un motivo di rivalutazione.
Detto ciò, gli Stati Uniti restano il più grande mercato dei capitali al mondo e la dimensione, la profondità e la liquidità del loro mercato dei Treasury, che si avvicina ai 25.000 miliardi di dollari statunitensi, supera di gran lunga quella degli altri mercati sovrani globali. La dimensione relativa del mercato negoziabile dei Treasury deve essere considerata una forza che avvolge e influenza il funzionamento dei mercati finanziari globali.
ANALIZZARE LA QUESTIONE DELL'INDIPENDENZA DELLA FED
Il declassamento e le conseguenti preoccupazioni reputazionali coincidono con i dubbi relativi all’indipendenza della Federal Reserve (Fed). La spinta dell’attuale amministrazione verso una riduzione dei tassi d’interesse a breve termine potrebbe avere un costo se la Fed, che mira a bilanciare crescita e inflazione, si discostasse eccessivamente dal proprio approccio consolidato.
Inoltre, il presidente della Fed, Powell (che si è spesso trovato in disaccordo con il presidente sulla direzione più opportuna da dare ai tassi), probabilmente sarà sostituito nel maggio 2026. Anche altri membri del Consiglio termineranno il mandato il prossimo anno, aprendo la possibilità a una composizione più allineata con l’amministrazione e meno indipendente dal potere esecutivo del governo statunitense.
Ma cosa significa tutto questo per gli investitori? Se il presidente continuerà a spingere per tagli dei tassi e l’indipendenza della Fed verrà ridotta, il mercato obbligazionario reagirà di conseguenza. I premi al rischio, ossia la remunerazione aggiuntiva richiesta per detenere titoli di lunga durata, tenderanno probabilmente ad aumentare. Vi è inoltre una prospettiva di lungo termine, legata alle questioni di regolamentazione, vigilanza e struttura della banca centrale, che merita attenzione.
DOMANDARSI SE L'USD POSSA MANTENERE IL SUO STATUS DI VALUTA DI RISERVA
Un altro fattore che incide sulla qualità creditizia degli Stati Uniti è l’USD, che ha registrato una performance relativamente debole dall’inizio dell’anno, in parte a causa di deflussi di capitale autoindotti derivanti dall’incertezza delle politiche economiche. Un prolungato ristagno dei rendimenti del dollaro potrebbe segnalare un indebolimento dell’eccezionalismo statunitense, mettendo a rischio lo storico status del dollaro come valuta rifugio. Il biglietto verde è da tempo la principale valuta di riserva mondiale, ossia la denominazione di riferimento per la quotazione e il regolamento delle transazioni internazionali in materie prime e in un’ampia gamma di beni. Se l’USD perdesse questo status, ciò rifletterebbe un declino strutturale, ridefinendo le esigenze di copertura valutaria dei portafogli e accelerando una rotazione dagli asset di rischio statunitensi, come le azioni, modificando inoltre in modo sostanziale il tenore di vita negli Stati Uniti nell’economia reale.
Pur essendo un rischio certamente da comprendere e monitorare, gli investitori farebbero bene a mantenere la giusta prospettiva. Nonostante la recente performance dell’USD, esso resta la valuta di fatturazione preferita per circa il 40% del commercio mondiale (anche nei casi in cui gli Stati Uniti non siano la destinazione finale di tali scambi).
QUALI SONO LE IMPLICAZIONI PER GLI INVESTIMENTI?
Le questioni relative alla solidità creditizia degli Stati Uniti, all’indipendenza della Fed e allo status dell’USD come valuta di riserva sono rilevanti e potenzialmente preoccupanti, considerando la centralità del dollaro nell’ecosistema finanziario globale. Meritano grande attenzione, ma dovrebbero ispirare una pianificazione ponderata e una diversificazione consapevole, piuttosto che reazioni impulsive nelle allocazioni. Dal punto di vista obbligazionario, vi sono tre strategie che gli investitori possono adottare per attenuare le pressioni derivanti dal deterioramento della solidità creditizia statunitense: