A cura di Carlo Benetti, Market Specialist di GAM
L’aumento vertiginoso dei prezzi del settore tecnologico fa temere l’affastellarsi delle condizioni tipiche delle bolle. E se è vero che la diffidenza e lo scetticismo aiutano a tenere le cose sotto controllo, è altrettanto vero che negli ultimi dodici mesi sono state principalmente le società impegnate nella parte più avanzata della frontiera della conoscenza a beneficiare del favore degli investitori. Il sostegno dato alle tante, giovani aziende dell’AI ha trainato l’intero listino e crescono i paragoni con l'euforia della fine degli anni Novanta, quando deflagrarono due bolle, quella delle dot com e quella del sovrainvestimento nel decennio precedente.
Sui listini americani si verificano inoltre due insidiose concentrazioni: le performance sono dovute a poche aziende, in particolare le “mega-cap” tecnologiche/AI, quando quelle aziende deluderanno, ne soffrirà l’intero mercato. L’altra concentrazione riguarda l’esposizione record delle famiglie americane al mercato azionario, i forti rendimenti alimentano un ingannevole effetto “FOMO”, la paura di restare fuori dalla festa.
I segnali di preoccupazione non mancano anche osservando l’indice S&P 500 nella sua interezza; il suo rapporto CAPE (Cyclically Adjusted Price-to-Earnings, cioè il rapporto prezzo/utili aggiustato su dieci anni) è prossimo al valore di 40x, storicamente alto: se da una parte vale l’argomento delle potenzialità di margini e crescita delle società tecnologiche, dall’altro lato si prefigurano rendimenti azionari più bassi.
Si parla di bolla anche per l’oro, benché il metallo giallo sia “nel mezzo di una bolla che dura da 6.000 anni” ha scritto un ex banchiere centrale.
Il prezzo oltre i quattromila dollari è irragionevole se confrontato con il suo valore intrinseco insignificante (sul totale di 216.265 tonnellate di riserva di oro “fuori terra” a fine 2024, la domanda di consumo per la gioielleria rappresentava 97.149 tonnellate, il 45%), ma spiegabile se messo in relazione con la domanda di sicurezza degli investitori, sia individuali che pubblici. Le banche centrali dei paesi BRICS ed emergenti dal 2022 hanno aumentato le proprie riserve auree di oltre mille tonnellate all'anno.
Non mancano le preoccupazioni anche sul lato dell’economia reale: i venti contrari alla crescita sono alimentati dalle tariffe, dalle limitazioni all’export delle terre rare da parte della Cina, dai livelli del debito, una sorta di faglia di Sant’Andrea che attraversa nascostamente le economie e che comprime la capacità di ricorrere a stimoli fiscali.
L’euro si è apprezzato quest’anno di circa il 15% sul dollaro (rispetto alla media storica con le principali valute, l’euro è ai valori più alti da venticinque anni) e all’orizzonte si prefigura la possibilità di una Federal Reserve più sensibile all’amministrazione e, se così fosse, la politica dei tassi potrebbe diventare più accomodante e la configurazione della curva, orientata da considerazioni extra-economiche, potrebbe farsi erratica.
In definitiva, tutte queste diverse voci compongono una polifonia inquieta.
Wall Street oscilla tra la fede cieca nella tecnologia e la consapevolezza che la melodia potrebbe interrompersi da un momento all’altro. La debolezza del dollaro raffredda gli entusiasmi dell’export europeo, sposta il ritmo dell’economia come un cambio di tonalità improvviso. L’incertezza si è cronicizzata, ci troviamo tutti, gestori, consulenti, investitori in uno stato di smarrimento: da un lato ci sono le valutazioni tirate, dall’altra l’incertezza sui tassi, da una parte l’innovazione che procede, dall’altra gli eccessi negli investimenti e nelle aspettative.
Lo scenario è così contraddittorio che è difficile resistere alla tentazione di “fare qualcosa” o “fare qualcosa di diverso”, ma si tratta di desiderio di azione dettato più dall’emozione che dalla strategia.
La fedeltà alla strategia di investimento di lungo termine e gli ammonimenti della finanza comportamentale sono più preziosi di qualsiasi esercizio previsivo: occorre allargare la finestra temporale e pensare in termini pluriennali, con obiettivi di vita; è importante diversificare lo spazio (le asset class diverse per area geografica) senza trascurare la diversificazione del tempo (gli orizzonti temporali e gli obiettivi del risparmio).
Restituire la primazia al metodo significa riconoscere, con umiltà, che non si decide tutto oggi, che non si capisce tutto subito. E allora va bene sentirsi smarriti, lo siamo un po’ tutti, ma lo smarrimento deve essere lo stimolo per ragionare sulla diversificazione del portafoglio con meno rumore, con più lucidità, con un orizzonte che si amplia. Se riusciamo in questo esercizio, magari con l’aiuto di un consulente esperto, riusciremo a navigare queste acque complesse senza perdere di vista l’obiettivo: non solo rendimenti, ma protezione del futuro.