A cura di Carlo Benetti, Market Specialist di GAM
L’ultima riunione della Fed è stata piuttosto eccentrica o, quanto meno, molto diversa rispetto al solito, contraddistinta da diverse “prime volte”. Per la prima volta ha preso parte al Comitato che governa i tassi una governatrice, Lisa Cook, che è stata prima licenziata dal presidente, poi reintegrata nel ruolo dal provvedimento di un giudice federale.
È stata una prima volta la partecipazione al meeting di un governatore che mantiene uno stretto legame con l’Amministrazione: Stephen Miran non ha dato le dimissioni dal ruolo di consigliere economico di Trump, preferendo la più accomodante soluzione dell’aspettativa non retribuita. Miran non ha reciso il rapporto con l’Amministrazione ed è stata una prima volta anche la sua decisione di voto: il suo voto solitario, favorevole a un più robusto taglio di mezzo punto percentuale, è sembrato a molti un segnale a Trump, un gesto di fedeltà che corrobora la sua candidatura a successore di Powell.
Il primo taglio del 2025 apre alla possibilità di un mini-ciclo di allentamento di due ulteriori tagli entro dicembre sia pure, ha ribadito Powell con l’avvertenza d’obbligo, sotto la condizione della qualità dei dati economici e delle dinamiche dell’inflazione. Venerdì prossimo sarà pubblicato l’indice PCE (Personal Consumption Expenditures), una misura dei prezzi seguita con attenzione dagli economisti della Fed perché ritenuta più rappresentativa dei consumi, vedremo se il taglio disposto la scorsa settimana sia stato tempestivo o prematuro.
La decisione del taglio ha segnato una discontinuità della banca centrale americana rispetto a giugno, nel duplice mandato del suo Statuto il corno della piena occupazione prevale ora su quello della stabilità dei prezzi.
Per quanto riguarda i mercati, c’è forse una certa compiacenza: nonostante le tensioni nella geopolitica, la forte concentrazione delle performance azionarie, le crepe nel mercato del lavoro e l’inflazione ancora lontana dal livello obiettivo, gli investitori continuano a scommettere sulle promesse della tecnologia e dell’intelligenza artificiale. Molti di loro non sono operatori professionali ma singoli individui che si ritrovano sulle piattaforme, scambiano pareri e comprano sulle flessioni.
Un sostegno al mercato viene naturalmente anche dalle aspettative sul ciclo di allentamento delle condizioni finanziarie. I prezzi dei futures scontano un livello dei tassi attorno al 3% entro la fine del 2026, un cambio di prospettiva, più orientata all’ottimismo, rispetto a pochi mesi fa e rispetto alle stesse previsioni dei membri del FOMC per i quali l’aspettativa media è di un livello dei tassi prossimo a 3,5% alla fine del prossimo anno.
La decelerazione del mercato del lavoro americano segnala il rallentamento dell’economia mentre dal lato dei dazi, fino ad oggi assorbiti in buona parte dagli importatori, non sono scomparse le minacce all’occupazione e ai prezzi dei beni sugli scaffali.
Al quarto di punto in meno nei tassi non hanno risposto i rendimenti a lungo termine. In realtà, il movimento al rialzo dei rendimenti sulle scadenze più lunghe non è limitato ai soli Stati Uniti, riguarda tutte le economie avanzate, il trentennale inglese flirta con quota 5,7%, in Giappone il rendimento del decennale è tornato positivo in termini reali dopo molti anni, condizione che potrebbe avere conseguenze rilevanti sui mercati obbligazionari e valutari.
La Federal Reserve non può, da sola, compensare le pressioni innescate dalle aspettative di una più alta inflazione e dalle preoccupazioni sulla sostenibilità dei debiti, la politica monetaria non può supplire alle fallacie delle politiche fiscali. “The world is getting fiscal”, l’attenzione degli analisti e dei mercati si sta spostando dalla centralità della politica monetaria verso la maggior rilevanza della politica fiscale come leva per sostenere l’economia e per gestire con ordine le finanze pubbliche.
A seguito del taglio, il cambio euro dollaro ha mostrato volatilità: l’immediato movimento di indebolimento è stato corretto dopo i commenti meno accomodanti di Powell. In ogni caso, il biglietto verde resta debole nei confronti di tutte le principali valute nonostante proseguano gli acquisti di attività americane da parte degli investitori stranieri.
Evidentemente, gli investitori vogliono surfare l’onda del momentum delle azioni americane e della tecnologia ma non vogliono rimanere esposti alle fluttuazioni del dollaro, pertanto coprono l’esposizione al rischio del cambio. Nei fatti, è un segnale di diffidenza verso gli effetti che le azioni dell’amministrazione Trump potrebbero avere sul biglietto verde. Nell’ultimo sondaggio che Bank of America conduce ogni mese presso i gestori, il 38% degli intervistati ha dichiarato l’intenzione di aumentare la copertura contro un dollaro più debole.
Messo in relazione con le performance dei listini, il comportamento del dollaro riflette non la disaffezione verso gli asset americani ma la diffidenza degli operatori, la sua debolezza è misura della credibilità di questa Amministrazione.
A cura di Carlo Benetti, Market Specialist di GAM
L’ultima riunione della Fed è stata piuttosto eccentrica o, quanto meno, molto diversa rispetto al solito, contraddistinta da diverse “prime volte”. Per la prima volta ha preso parte al Comitato che governa i tassi una governatrice, Lisa Cook, che è stata prima licenziata dal presidente, poi reintegrata nel ruolo dal provvedimento di un giudice federale.
È stata una prima volta la partecipazione al meeting di un governatore che mantiene uno stretto legame con l’Amministrazione: Stephen Miran non ha dato le dimissioni dal ruolo di consigliere economico di Trump, preferendo la più accomodante soluzione dell’aspettativa non retribuita. Miran non ha reciso il rapporto con l’Amministrazione ed è stata una prima volta anche la sua decisione di voto: il suo voto solitario, favorevole a un più robusto taglio di mezzo punto percentuale, è sembrato a molti un segnale a Trump, un gesto di fedeltà che corrobora la sua candidatura a successore di Powell.
Il primo taglio del 2025 apre alla possibilità di un mini-ciclo di allentamento di due ulteriori tagli entro dicembre sia pure, ha ribadito Powell con l’avvertenza d’obbligo, sotto la condizione della qualità dei dati economici e delle dinamiche dell’inflazione. Venerdì prossimo sarà pubblicato l’indice PCE (Personal Consumption Expenditures), una misura dei prezzi seguita con attenzione dagli economisti della Fed perché ritenuta più rappresentativa dei consumi, vedremo se il taglio disposto la scorsa settimana sia stato tempestivo o prematuro.
La decisione del taglio ha segnato una discontinuità della banca centrale americana rispetto a giugno, nel duplice mandato del suo Statuto il corno della piena occupazione prevale ora su quello della stabilità dei prezzi.
Per quanto riguarda i mercati, c’è forse una certa compiacenza: nonostante le tensioni nella geopolitica, la forte concentrazione delle performance azionarie, le crepe nel mercato del lavoro e l’inflazione ancora lontana dal livello obiettivo, gli investitori continuano a scommettere sulle promesse della tecnologia e dell’intelligenza artificiale. Molti di loro non sono operatori professionali ma singoli individui che si ritrovano sulle piattaforme, scambiano pareri e comprano sulle flessioni.
Un sostegno al mercato viene naturalmente anche dalle aspettative sul ciclo di allentamento delle condizioni finanziarie. I prezzi dei futures scontano un livello dei tassi attorno al 3% entro la fine del 2026, un cambio di prospettiva, più orientata all’ottimismo, rispetto a pochi mesi fa e rispetto alle stesse previsioni dei membri del FOMC per i quali l’aspettativa media è di un livello dei tassi prossimo a 3,5% alla fine del prossimo anno.
La decelerazione del mercato del lavoro americano segnala il rallentamento dell’economia mentre dal lato dei dazi, fino ad oggi assorbiti in buona parte dagli importatori, non sono scomparse le minacce all’occupazione e ai prezzi dei beni sugli scaffali.
Al quarto di punto in meno nei tassi non hanno risposto i rendimenti a lungo termine. In realtà, il movimento al rialzo dei rendimenti sulle scadenze più lunghe non è limitato ai soli Stati Uniti, riguarda tutte le economie avanzate, il trentennale inglese flirta con quota 5,7%, in Giappone il rendimento del decennale è tornato positivo in termini reali dopo molti anni, condizione che potrebbe avere conseguenze rilevanti sui mercati obbligazionari e valutari.
La Federal Reserve non può, da sola, compensare le pressioni innescate dalle aspettative di una più alta inflazione e dalle preoccupazioni sulla sostenibilità dei debiti, la politica monetaria non può supplire alle fallacie delle politiche fiscali. “The world is getting fiscal”, l’attenzione degli analisti e dei mercati si sta spostando dalla centralità della politica monetaria verso la maggior rilevanza della politica fiscale come leva per sostenere l’economia e per gestire con ordine le finanze pubbliche.
A seguito del taglio, il cambio euro dollaro ha mostrato volatilità: l’immediato movimento di indebolimento è stato corretto dopo i commenti meno accomodanti di Powell. In ogni caso, il biglietto verde resta debole nei confronti di tutte le principali valute nonostante proseguano gli acquisti di attività americane da parte degli investitori stranieri.
Evidentemente, gli investitori vogliono surfare l’onda del momentum delle azioni americane e della tecnologia ma non vogliono rimanere esposti alle fluttuazioni del dollaro, pertanto coprono l’esposizione al rischio del cambio. Nei fatti, è un segnale di diffidenza verso gli effetti che le azioni dell’amministrazione Trump potrebbero avere sul biglietto verde. Nell’ultimo sondaggio che Bank of America conduce ogni mese presso i gestori, il 38% degli intervistati ha dichiarato l’intenzione di aumentare la copertura contro un dollaro più debole.
Messo in relazione con le performance dei listini, il comportamento del dollaro riflette non la disaffezione verso gli asset americani ma la diffidenza degli operatori, la sua debolezza è misura della credibilità di questa Amministrazione.