Neuberger Berman: Tensione nel credito, è un campanello d’allarme?

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Commento a cura di Maya Bhandari, Chief Investment Officer, Multi-Asset Strategies, EMEA, di Neuberger Berman

 

Il recente collasso di First Brands e di Tricolor Auto Group, insieme alle perdite sui prestiti registrate da alcune banche regionali statunitensi, ha riacceso i timori sui mercati del credito e sul possibile contagio verso altre asset class. Il credito resta un’area che monitoriamo con attenzione, e a ragion veduta. Lo stress nei mercati delle obbligazioni corporate è spesso un campanello d’allarme per gli asset rischiosi più in generale. Lo abbiamo visto all’inizio degli anni 2000, prima dello scoppio della bolla dotcom; nel 2007, alla vigilia della Grande Crisi Finanziaria; nel 2015–2016, durante la crisi del settore energetico; alla fine del 2018, poco prima del cambio di rotta della politica monetaria della Federal Reserve; e, più di recente, tra il 2021 e il 2022, con lo shock inflazionistico. In ciascuna di queste fasi, un significativo allargamento degli spread creditizi degli indici ha anticipato i ribassi azionari di uno fino a quattro mesi. Nonostante i titoli recenti e qualche episodio di stress idiosincratico nei segmenti più rischiosi del credito, come i leveraged loans, oggi vediamo pochi — se non nessun — segnale di stress più ampio, tantomeno sistemico. La maggior parte degli spread creditizi misurati dagli indici si colloca comodamente all’interno (o persino al di sotto) del quintile storico più basso. In altri termini, il primo test qualitativo di un ampliamento significativo degli spread non è superato. Inoltre, non si intravedono chiari catalizzatori all’orizzonte. I bilanci societari restano solidi (si veda il grafico), la crescita economica appare orientata a una moderata accelerazione e le condizioni di liquidità sono favorevoli, sostenute da un orientamento tendenzialmente più espansivo sia della politica monetaria che di quella fiscale.

 

PROSPETTIVE E CONTESTO

Analizzando caso per caso, il nostro team dedicato agli investimenti obbligazionari ha spiegato di recente perché First Brands e Tricolor vadano considerate “mele marce”, con impatti circoscritti e non estendibili al resto del mercato. Lo stesso ragionamento di specificità si applica alle recenti perdite sui prestiti legate a istituzioni finanziarie non bancarie (NBFI) emerse presso alcune banche regionali statunitensi: i nomi finiti sotto pressione non presentavano solidi indici di capitale e adeguate coperture di riserva, utili robusti e buona qualità degli attivi. Pur tenendo conto che i prestiti delle istituzioni finanziarie non bancarie sono raddoppiati dal 2020 e rappresentano il segmento di credito in più rapida crescita, riteniamo che questa esposizione sia gestibile —soprattutto per le istituzioni più grandi, tipicamente Investment grade. In sostanza, non la consideriamo un rischio significativo alla luce della solidità complessiva dei bilanci delle società a cui le istituzioni finanziarie non bancarie prestano capitali.

Nel frattempo, con uno sguardo top-down, è difficile rintracciare segnali concreti di stress più ampio nel credito. Gli spread su base option-adjusted, sia per l’high yield più rischioso che per le società con rating Investment grade di qualità superiore, restano compressi e si collocano ben all’interno, o addirittura al di sotto, del quintile storico più basso nelle principali aree geografiche (Stati Uniti, Europa e Asia). Approfondendo per rating e settori, la conclusione non cambia. Gli spread più rischiosi (sui bond con rating Caa/CCC secondo Moody’s e Standard & Poor’s) nell’high yield si sono mossi solo moderatamente negli Stati Uniti e in Europa. Gli spread nelle fasce più “rischiose” dell’universo Investment grade, ossia sui bond con rating Baa/BBB, sono rimasti pressoché invariati. Inoltre, le metriche aggiustate per la duration continuano a indicare una remunerazione contenuta per unità di duration addizionale.

Poiché la componente di (il)liquidità delle obbligazioni corporate è rilevante nel giudicare il rischio di spread, anche misure semplici di liquidità—come la deviazione dal NAV dei principali ETF di credito—offrono un quadro rassicurante. Alla luce di questo, alcuni movimenti relativi tra segmenti del credito meritano attenzione. Tra i temi da monitorare: la resilienza del credito con rating Ba/BB rispetto alla debolezza del credito con rating Caa/CCC; la maggiore pressione sulle business development companies (società d’investimento statunitensi quotate in borsa e create per finanziare e supportare imprese di piccole e medie dimensioni, spesso non quotate o con accesso limitato al credito tradizionale) rispetto alle società con rating CCC1; e lo stress nel mercato dei leveraged loans. Finora, queste dinamiche sono rimaste perlopiù legate a singole società o a specifici settori. Per esempio, lo stress nei leveraged loan e nelle business development companies si concentra in comparti come quello tecnologico, alle prese con la disruption dell’I.A. Va inoltre sottolineato che, in generale, ciò che favorisce l’azionario (come l’aumento della spesa in conto capitale in IA) può spesso penalizzare il credito.

 

APPROCCIO COSTRUTTIVO

Con una stagione degli utili che procede a buon ritmo, la tenuta degli utili societari e la solidità dei bilanci continuano a offrire segnali incoraggianti. Nel complesso, la maggior parte degli indicatori di sostenibilità del debito societario è migliorata in modo significativo negli ultimi cinque anni. Le aziende hanno sfruttato la combinazione di tassi d’interesse bassi e profitti in forte crescita nel post-pandemia, al fine di riordinare i bilanci su quasi tutte le principali metriche (consultare il grafico). Il contesto macro rimane favorevole sia per il credito che per l’azionario, con una graduale accelerazione della crescita globale e degli utili societari, e condizioni di liquidità sostenute da un orientamento ampiamente accomodante della politica monetaria e fiscale. Storicamente, i cicli di default tendono a manifestarsi in presenza di una recessione e/o di diffusi squilibri di bilancio; con la politica monetaria in fase di allentamento, le pressioni derivanti da un maggior costo del finanziamento appaiono attenuate. Alla luce di questo, nei prossimi 6–18 mesi i nostri portafogli manterranno un posizionamento costruttivo, seppur selettivo, verso gli asset rischiosi come l’azionario—con particolare attenzione alle small cap statunitensi, al Giappone e alla Cina—e verso il reddito fisso, con particolare attenzione per le obbligazioni corporate Investment grade extra Stati Uniti (focus sull’Europa) e i titoli dei mercati emergenti in valuta forte. Inoltre, pur rimanendo vigili sul rischio di credito, continuiamo a considerare qualsiasi allargamento degli spread o della duration in aree selezionate del fixed income come un’opportunità per aumentare l’esposizione a questi mercati.

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