07/04/2020

Outlook per il petrolio rimane orientato al ribasso

Nei giorni scorsi abbiamo assistito a un rimbalzo di 10 dollari del petrolio WTI da 19 e 29 dollari al barile nonostante le notizie dal fronte della congiuntura globale stiano peggiorando (grafico a destra).  I futures di dicembre trattano 8 dollari sopra a quello in scadenza in aprile, un record per il mercato petrolifero: avendo il posto dove stoccarlo, comprando del greggio e vendendolo a termine si guadagna il 30% in nove mesi: questo spiega l’aumento del costi di noleggio delle petroliere (grafico in basso).

E’ bastato un tweet di Trump che segnalava un possibile accordo tra Russia e Arabia Saudita per ridurre la loro produzione per spingere al rialzo le quotazioni del greggio.  Non vale la pena commentare l’intervento del Presidente Trump volto ad alzare i prezzi della benzina in un momento in cui i consumatori americani certamente non avevano bisogno di un travaso di fondi dalle loro tasche a quello della Russia e degli arabi.

Il problema è capire sono accadrà alle quotazioni del greggio e la prima impressione è che il rialzo di 10 dollari del WTI non sia giustificato dal tweet di Trump su un possibile taglio della produzione sino a 15 milioni di barili al giorno: innanzitutto una riduzione di questo ammontare significherebbe la riduzione del 60% della produzione dei due paesi, e poi di fronte a una riduzione della domanda di 30 milioni di barili al giorno in aprile/maggio l’impatto sul contratto che scade il 21 aprile dovrebbe essere nulla.  E’ comunque evidente uno scollamento tra i prezzi dei futures sul  WTI e sul Brent e del prodotto fisico, che viene venduto a prezzi molto più bassiGiioved' Aramco dovrebbe annunciare i prezzi per le consegne di maggio.

Il caos del mercato è accentuato dall’incontro di Trump con i responsabili dei principali produttori USA – che sembrava rivolto ad un accordo di riduzione della produzione – e delle iniziative della autorità del Texas che vorrebbero a loro volta una riduzione.  Per non parlare dei rumors di imposte all’import di greggio straniero. E’ però chiaro che la legge antitrust americana impedisce un accordo domestico di tagli della produzione, anche se il Texas ha invece a disposizioni strumenti giuridici per ridurre la produzione che è attualmente a 5,4 milioni di barili al giorno.

Inoltre il petrolio non è un prodotto omogeneo e l’import dall’Arabia è di petrolio pesante per la produzione di diesel e jet fuel, mentre la produzione domestica e di light grade adatta alla produzione di benzina. L’import dall’Arabia è poi molto modesto, intorno ai 500 mila barili al giorno su un totale di 9,1 milioni, e la maggioranza arriva dal Canada.  Le major guidate da Exxon e Chevron si sono comunque dichiarate contrarie a un intervento governativo.

Rimane il problema di fondo dell’esplosione delle scorte in questi giorni di assenza di domanda finale e nel giro di due settimane saranno occupate anche le petroliere per stoccare il greggio.  Rimane poi il problema dei produttori di shale oil americani che a 30 dollari sono in perdita e che il crollo delle quotazioni li ha colpiti mentre il loro leverage è notevole.  La situazione del settore del gas naturale è ancora peggiore.

Al momento l’unica certezza è che giovedì ci sarà una conference call tra i produttori e che il giorno dopo l’Arabia Saudita annuncerà i prezzi per i propri prodotti per il mese di maggio, cosa che era attesa per ieri.  Nel breve i prezzi possono essere sostenuti da una speranza di una riduzione della produzione, ma è molto probabile che il taglio eventualmente deciso non sarà in grado di bilanciare il crollo della domanda e che le scorte continueranno a salire velocemente.

Tecnicamente lo scenario più probabile prevede l’esaurimento dell’attuale fase di rimbalzo a 32,8 dollari o al massimo a 36,95 e quindi un nuovo minimo di lungo termine intorno ai 15 dollari al barile.

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