Nel giugno scorso segnalavamo in una nota la presenza di primi segnali di inversione del trend ribassista dell’euro contro il dollaro, ma anche il fatto che mancava la conferma del superamento della prima importante resistenza situata a 1,1570 e tale livello non è stato superato neanche nel rimbalzo degli ultimi giorni (grafico a destra).
Il mese di marzo è stato molto negativo per l’euro con una ridiscesa a 1,07 che avvicina il cambio al minimo degli ultimi 10 anni a 1,0350. La posizione tecnica dell’euro rimane quindi ribassista, e guardando il grafico la discesa sotto questo livello appare lo scenario più probabile.
Dal punto di vista fondamentale la situazione è invece nettamente migliorata: sono scesi significativamente i rendimenti delle obbligazioni in dollari e il Treasury a due anni rende ora lo 0,44% dal 3% toccato a fine 2018 (grafico in basso a destra). Nel mentre i tassi dell’area euro sono rimasti fermi intorno a -0,7% se prediamo il rendimento del Bund biennale. In altre parole il premio di rendimento del dollaro è sceso notevolmente negli ultimi 12 mesi.
In teoria quindi attualmente le posizioni in dollari rendono poco più di quelle in euro, ma dall’altro lato l’investitore europeo che voleva investire negli USA coprendo il rischio cambio partiva da un -3% mentre ora lo spread si è significativamente ridotto e le azioni europee e americane se la giocano ad armi pari: in altre parole la riduzione dello spread dei rendimenti a breve non necessariamente rende l’euro più interessante, in quanto riduce il rischio cambio di un investimento in azioni in dollari. Mentre sino a un anno fa se volevamo comprare Microsoft o Apple costava il 3% di copertura del rischio cambio, ora ci costa solo un punto percentuale.
Riassumendo l’investimento in obbligazioni Investment Grade in dollari è ora poco interessante per l’investitore europeo, mentre quello in azioni costa meno in termini di copertura del rischio cambio.
I flussi della bilancia dei pagamenti continuano a favorire l’euro, ma il loro effetto sul cambio nel breve è sempre stato ridotto. Inoltre, la riduzione dell’attività economica in Europa e negli USA che impatto avrà sui flussi commerciali? Piuttosto difficile da prevedere, ma se crolla la domanda dei consumatori di due paesi è probabile che migliori la bilancia commerciale di quello in deficit, e quindi degli USA.
Il rafforzamento del dollaro di questi giorni viene giustificato dalla carenza di dollari del sistema bancario che però dovrebbe essere stata significativamente ridotta dalle operazioni della Federal Reserve, che è intervenuta con repo da trilioni di dollari e con acquisti outright di Treasurys. Non dovrebbe essere un fattore in grado di influenzare il movimenti del dollaro nei prossimi mesi.
E’ quindi un momento particolarmente difficile per azzardare previsioni sull’euro/dollaro, con i grafici che giustificano aspettative di una discesa verso la parità e fondamentali che non giustificano un apprezzamento del dollaro, almeno nel medio termine. La nostra impressione è che sarà lo scenario tecnico ad adeguarsi e che l'euro tornerà sopra quota 1,150 entro fine anno.
Per l’investitore europeo, o meglio in euro, però ora lo scenario è più semplice: basta evitare le obbligazioni in dollari e coprire il rischio cambio sugli acquisti delle azioni in dollari, ora cosa poco costosa.
Se guardiamo poi l’euro contro lo yen il problema non esiste per l’investitore: sono anni che si muove lateralmente e ora siamo al centro della trading range degli ultimi anni (grafico in basso); all'inizio del 2010 il cambio era 118, esattamente ai valori attuali. E’ il dollaro che sale e scende significativamente, ed era a 1,37 dieci anni fa, mentre l’euro/yen non ha un trend direzionale.