14/11/2016

UBP: Sentiment antiglobalizzazione, l’Asia ha gli anticorpi

Christopher Chu, Fund manager – Asian Equities, Union Bancaire Privée (UBP)

Il sentiment nei confronti della globalizzazione è diventato controverso. L’attuale clima politico e la retorica antiglobalizzazione deriva dall’ansia che i benefici che ne sono derivati non abbiano interessato tutti, portando quindi a una spinta verso politiche protezionistiche. Questa ondata di malcontento potrebbe permanere in futuro a livello politico, con conseguenze che sono state ben evidenti in entrambi i lati dell’Atlantico: il voto sulla Brexit di quest’estate e il supporto per le politiche nazionalistiche in Germania e negli Stati Uniti. E col diffondersi di queste idee, nella prassi politica, si potrebbero invertire coloro che ora sono percepiti come beneficiari della globalizzazione, penalizzando l’azionario asiatico come ambito in cui investire.

Questo rischio tuttavia rimane basso, a nostro avviso, in quanto i sintomi di sgomento nel mondo sviluppato derivano da scarse prove di guadagni economici visibili. I miglioramenti sono misurati prevalentemente in termini reali, dove salari statici traggono beneficio solo quando i costi di produzione rimangono bassi. Senza opportunità future, si verificherà a breve una revoca delle licenze. In Asia, i benefici della globalizzazione sono più evidenti. La crescita economica e dei salari riflette un rafforzamento del mercato del lavoro, tendenze di urbanizzazione e investimenti esteri diretti; mentre la crescita del commercio interregionale e il calo dell’occupazione informale promuovono politiche monetarie e fiscali in maniera più efficacie.

Per l’Asia, le politiche protezionistiche non avrebbero senso visto il collegamento tra la crescita economica e i mercati del capitale. Oltre metà delle esportazioni dell’area avvengono tra nazioni vicine per via di una gestione più integrata del processo di distribuzione, in quanto stretti legami finanziari consentono una maggiore efficienza del mercato per promuovere le economie di scala. Il recente avvio del programma stock connect tra Hong Kong-Shenzhen e Hong Kong-Shanghai è una prova di come i mercati liberalizzati del capitale permettano una migliore allocazione delle risorse estere che arrivano nell'economia.

Tuttavia, l’aumento del protezionismo come conseguenza della perdita di un’identità sovrana potrebbe produrre ansia sui mercati, sia essa nella forma di dispute territoriali attraverso il Mar Cinese Meridionale o di tensioni aggressive tra India e Pakistan. Finora, queste devono ancora tradursi in barriere o tariffe che siano ostili per un’economia. I recenti commenti del primo ministro inglese, Theresa May, che si è detto a favore di uno scenario di Brexit rigido (sia anti commercio, sia anti immigrazione), ha portato a una forte svalutazione della sterlina. Per molti, ciò ha lasciato presagire un simile scenario per l’Asia, qualora il Paese dovesse adottare politiche di questo tipo.

Ad ogni modo tale situazione in Asia è anche altamente improbabile. Il Regno Unito è egualmente indebitato, sia sul lato delle partite correnti sia del deficit di bilancio, rispecchiando la sua dipendenza da capitali esteri che mettono sotto pressione la valuta per tamponare il funding gap. Per le economie asiatiche, la maggior parte delle regioni preannuncia una bilancia dei pagamenti sana, in cui gli avanzi delle partite correnti esercitano meno pressione al ribasso sulle valute, creando un vantaggio commerciale.

La retorica antiglobalizzazione resta una componente fondamentale per la scena politica del prossimo futuro, ma è difficile che questa stravolga lo scenario dell’Asia come asset d’investimento, considerato che la crescita economica si mantiene robusta ed è supportata da buone politiche.

Pensiamo che i mercati potrebbero valorizzare le economie in cui politiche fiscali espansive potrebbero arrivare prima e continuare a premiarle qualora la disponibilità di capitale sia finanziata meno con il debito e più dai guadagni derivanti da esportazioni nette. L’Asia al momento scambia sotto la sua valutazione media di lungo termine, rendendo così l’azionario un asset invitante anche se l’agitazione proveniente da occidente dovesse diventare più forte.

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